per Fabiana (ma anche per Giovanni, Olivia, etc.)

31608_1359713886118_1629679021_843243_6969513_nGiovanni e Olivia, un paio di anni fa

Complimenti signora, suo figlio è un bambino particolarmente riflessivo, buono e generoso“, mi dicono le maestre. Fino allo scorso anno, il bambino giocava molto volentieri con le bambine. Aveva almeno un paio di amichette con le quali passavano molto tempo, alternando giochi con le macchinine, con le costruzioni,  puzzle,  disegni e anche pentoline. Con le armi, mai. Non me ne aveva mai chieste in regalo, e io ho preferito non proporgliele. Le cose sono cambiate molto rapidamente da settembre, non dovrei sentirmi più una buona madre, pare. Con l’inizio della prima elementare, grazie ad un confronto più costante e serrato con gruppi di  maschi coetanei, e a partire da quelle che potrebbero apparire piccole cose, il bambino: non ha voluto più indossare la sua felpa preferita (“il viola è un colore da femmine”), ha iniziato a fare giochi “nuovi” ( “stiamo facendo la guerra, dobbiamo catturare le bambine“), a fare considerazioni lapidarie ( “le femmine non possono costruire case, quello è un lavoro da maschi“), a biasimarmi per spostamenti al quale l’avevo abituato ( “e se parti dalle tue amiche, chi si occupa di me? le mamme stanno a casa a crescere i  figli “). Poi, un giorno è tornato a casa e, raccontandomi della giornata a scuola, con uno sguardo dritto di sfida, se n’è uscito con una frase che mi ha lasciata impietrita: “le femmine fanno schifo“.

La mia prima reazione è stata chiederli da chi avesse imparato una cosa del genere e chiedergli perchè, secondo lui, “le femmine fanno schifo”. Lui è stato muto, ha distolto lo sguardo. Gli ho detto “allora faccio schifo anche io”. “Ma no, tu sei una mamma“. La situazione è ben peggiore, ho pensato. A quel punto gli ho ricordato che sono una “femmina” esattamente come le sue compagne, solo più grande di età, e tante altre cose che credo gli siano risultate condivisibili, anche se gli leggevo chiaramente in faccia che, di quanto stavamo discutendo, non gli sarebbe convenuto farne parola ai suoi compagni (cui non garba neanche avere un bacio dai genitori  all’ingresso di a scuola,  perchè non è abbastanza “maschio”).

Lo dirò molto francamente:  delle convenzioni internazionali e delle petizioni nostrane, me ne importa ben poco. Viene da sé, che l’unica vera soluzione è quella ripetuta incessantemente da più parti : ossia quella di intervenire su quei ruoli stereotipati, su quei modelli culturali, che hanno dato pessimi frutti e che introiettiamo ogni giorno grazie a millenni di patriarcato (gli scettici lo chiameranno come meglio credono, ma la sostanza ci inchioda). Se, quindi, tra le soluzioni d’emergenza a breve termine, vi è il finanziamento ai centri antiviolenza (intesi come presidi di donne adeguatamente formati e laici); una di quelle, vitali, a lungo termine è senz’altro l‘insegnamento nelle scuole, a partire da quelle primarie. Da questo punto di vista,  molto utile è un lavoro come quello  di Serena Ballista e Judith Pinnock, dal titolo A tavola con Platone  , per il quale hanno lavorato a partire dal primo premio Immagini Amiche dell’UDI.

 Anche rispetto alla necessità di un corretto uso linguistico dei mezzi di informazione, sono stati spesi fiumi di parole: a muovere l’omicida, non sono  passione, amore e gelosia,  come se questi potessero venire considerate attenuanti che rendono i crimini piu’ efferati comprensibili , fin quasi a trovarne una giustificazione sociale, alla sensibilità comune.

 I messaggi costantemente traslati, attraverso parole e allusioni, sono che:  se ti stuprano è perchè in qualche modo te la sei cercata (cosa ci facevi a tarda notte in un locale di periferia? quanto avevi bevuto? non lo sai che ci si veste in maniera appropriata?); se tuo figlio ha stuprato è  colpa tua, che sei la madre (non della famiglia, non anche del padre, non dei tempi, non della società, etc, è proprio colpa tua perchè a te – e solo a te- spetta la responsabilità di allevare i figli, un modo come un altro – questo- per dire: se nel mondo succedono cose terribili è colpa delle madri cui, da bravi angeli del focolare, spetta in toto l’educazione di futuri uomini e donne); se ti uccidono è perchè (poverino) era geloso, perchè anche tu ci hai messo del tuo (eri gelosa pure tu), perchè le perversioni relazionali sono il grande male dei nostri tempi,  infine: “Perché la madre ha una storia con un direttore del Comune. Così lui ha vissuto queste corna pubbliche. Tutto il paese lo sa“.

Non riesco a leggere più nulla dell’assassinio di Fabiana. Qualunque commento sui giornali mi pare insensato e folle, al contrario del gesto dell’assassino per il quale  nessun giornalista, credo, sia riuscito a mettere in evidenza le ragioni che affondano nella “nostra” cultura.

 La violenza di genere è un fatto sociale e culturale, che trascende la dimensione privata, e che ha radici nella disparità di potere tra i sessi. Lo stupro è uno strumento di esercizio maschile sull’ affermazione della libertà delle donne. Parole che rimarranno vuote in eterno, se per le Istituzioni rimarranno solamente un mezzo per allargare bacini elettorali e se  ciascuno di noi, donne e uomini, non sarà capace ad avvertire il peso di una responsabilità sociale così grande, che atterrisce, che uccide.

*****

dall’ultima relazione del Centro contro la violenza Roberta Lanzino alla Regione Calabria, una breve analisi della situazione e una proposta di intervento:

 << Il Centro antiviolenza è anche baluardo culturale,perché dalla analisi delle situazioni di violenza prese in carico, nascono riflessioni sulle costanti che accomunano gli autori della violenza e le donne che la subiscono.
Da queste riflessioni emerge come la costruzione delle identità maschili e femminili sia approdata ad una opposizione esasperata e pericolosa.
Da qui la necessità di reinterrogarsi sullo stato della cultura patriarcale e sulla sua pervasione.””ad oggi non possiamo più pensare la violenza sulle donne semplicemente come espressione del dominio maschile, ma come un tentativo ulteriore ,da parte dell’uomo, di riconquistare le posizioni che le donne stesse hanno messo in discussione,.(Stefano Ciccone in Una violenza strutturale)
Da questa consapevolezza nasce il desiderio e la disponibilità ad intervenire nelle scuole per sollevare, con la competenza che ci appartiene, il tema ella relazione tra i generi,
Purtroppo i dati dei Centri antiviolenza del 2012, ci dicono che sono in aumento i giovani autori e le giovani vittime.
Si sono analizzati casi “in cui si assiste ad una romanticizzazione della violenza proiettata nel mondo dell’adolescenza in cui spesso i sentimenti ed i rapporti sono vissuti in maniera estremizzata”
Nello stesso tempo, l’esposizione mediatica a cui i giovani sono esposti, sia quella subita dai video giochi dai media violenti, sia quella agita attraverso il mostrarsi sui social netwourk,li rende più vulnerabili ed incapaci di gestire situazioni complesse e pericolose.
Il Centro antiviolenza si propone come baluardo di una cultura contro la violenza per il rispetto tra i generi.
Con il sostegno e l’apporto delle discipline curriculari, la buona volontà degli insegnanti, facciamo entrare nella scuola una riflessione inedita che non trova spazio nei programmi scolastici.:la cultura di genere e i suoi cambiamenti.
L’unica vera prevenzione rispetto alla violenza di genere consiste nella formazione , nell’educazione all’affettività, ad una consapevolezza corporea positiva, ad una gestione razionale dei sentimenti di rabbia, frustrazione ed impotenza.
Vedere la violenza e combatterla è una questione di responsabilità alla quale nessuno può sottrarsi, tantomeno gli uomini e le donne delle istituzioni, lasciare soli i Centri antiviolenza o in condizioni di precarietà vuol dire non aver cura dei diritti umani delle donne.>>

VEDI ANCHE: motivo per il quale non uso il fondotinta 

 

22 commenti

  1. per le maestre è tutto nella “norma”…anzi, da un mesetto si siedono persino nello stesso banco (bimbi e bimbe), se proprio capita…appena uscito da scuola poco fa: “mamma, cambiami il righello sennò mi prendono in giro, è da femmine!” (giuro che è un righello innoquo e unisex!)

    • se il bambino è preso in giro (o magari rischia anche le botte da dei bulletti, questo non lo so) a causa di un righello unisex non è tutto nella norma…forse le maestre andrebbero sensibilizzate su queste cose, cioè su come rispettare la differenza di genere senza annullarla in un neutro indistinto ma evitando che qualcuno venga preso in giro per un righello ritenuto “da femmine”, e che l’essere maschi o femmine non ha a che fare coi righelli, che anche le femmine possono se vogliono fare una serie di cose (tipo giocare a calcio) e un bambino se vuole può fare danza con le bambine.e sopratatutto insegnando che con tutte le nostre differenze e somiglianze siamo moralmente e intellettualmente pari nel bene e nel male

    • Come fai a dire che “le scuole già non funzionano qui al quasi-nord, al sud figuriamoci” ? Anche questo è un pregiudizio, un forte pregiudizio; anche questo radicato. Il SUD non ha niente da invidiare al nord. Le scuole al sud fanno il loro lavoro meglio che al nord. No esistono verità assolute: al sud lo sappiamo.

      • ciao carolina, diciamo che in generale esistono regioni italiane che dal punto di vista amministrativo, e del controllo sociale, funzionano meglio di altre (penso all’emilia, che conosco sia attraverso zii che ci vivono e lavorano da una vita che amici). però, devo dire che avendo molte amiche che vivono al centro-nord, con figli, ho potuto constatare -non solo dai loro racconti sulle scuole , ma anche dal livello di preparazione scolastica dei figli-che le scuole le fanno le insegnanti, insegnanti meravigliose si trovano ovunque e personalmente sia io che , adesso, mio figlio ne abbiamo incontrate tantissime a cz. se poi vogliamo parlare delle strutture cadenti e della carta igienica che dobbiamo fornire noi genitori, allora è un altro discorso

  2. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia in cui nessuno ha pensato che la femmina non potesse fare determinate cose (oddio con i go-kart o sulle moto non mi hanno fatto andare…ma credo che quello sarebbe stato a prescindere dal sesso 🙂 ), ho scelto un percorso di studi tecnico poco incline alla femminilità, e sono rimasta nella convinzione che essere femmina non fosse un problema, nonostante a scuola non fosse possibile giocare con i maschi (tu no sei femmina) oppure messa da parte dalle compagne perchè non mi piaceva giocare con le bambole…sono arrivata nel mondo vero, quello del lavoro, quello del quotidiano e questa distinzione la trovi in ogni cosa, anche nelle piccole… se vai da un meccanico (caso reale) da sola pensa di poterti vendere che hai tutto il semiasse da rifare quando in realtà sono solo i braccetti, solo quando si rende conto che chi ha davanti non è una sprovveduta rettifica la prognosi..oppure, quando viene un fornitore a lavoro e si trova davanti una donna, mi guarda meravigliato ed esclama “non pensavo che il dott.Xxxxxx stesse per dottoressa”….o quando un collega ti dice “per essere una donna hai veramente le palle”.. ma che situazioni sono ?!?!?!?!? …. e concordo totalmente con Doriana, siamo noi tutti che dobbiamo lavorare affinche i ns figli non pensino che essere donna sia una limitazione, i ns figli devono vedere che le loro madri sono femmine e poi madri, devono giocare tra bambini a prescindere che siano maschi o femmine! Nel mio piccolo invito a fare la merenda a casa sia compagni che compagne, attività extrascolastiche con entrambi e lo esorto a giocare con chiunque….gli faccio vedere che la mamma fa le cose anche da maschio e non gli ho mai detto “fai l’ometto, i maschi non piangono ” se ogni tanto gli esce una lacrima di commozione quando vive un’emozione forte ..
    Dare la colpa alla scuola è troppo facile, è vero anche quella pesa nella loro edcazione, ma siamo noi tutti, genitori e non a dover dare un esempio alle generazioni future, al rispetto del prossimo..

    • d’accordissimo con te, e la mia esperienza è simile (“nonostante” sia calabrese, specifico perchè in queste ore is sprecano i commenti fatti di stereotipi razzisti e medievali sulle donne claabresi). riferendomi alla scuola vorrei solo sottolineare come sarebbe importante sostenere i genitori in un certo tipo di educazione, che -magari-se non trovano a casa ppssono assimilare diversamente e crescere “meglio” di come siamo cresciuti noi!

  3. sono madre di due gemelli maschi di quasi quattro anni e quello che racconti mi preoccupa già da qualche tempo. sto vedendo già le prime avvisaglie di stereotipi di genere che in famiglia ci viene naturale evitare. Pienamente d’accordo sulla necessità assoluta di una educazione specifica fin dalla primaria, almeno.

    • basterebbe fargli capire che bambine e bambini pur diversi hanno la stessa dignità e se vogliono possono giocare insieme. Poi per fare un esempio, se una bambina ama il rosa non c’è bisogno di toglierglielo per combattere gli “stereotipi di genere” basta dirle che se vuole può anche scegliere altri colori

  4. Bellissimo articolo. Condivido tutto. Anche io vedo qualche avvisaglia, per fortuna per ora piccola piccola, in mio figlio di quasi 6 anni e mi sono sempre posta il problema di come educarlo al rispetto e alla pari dignità di tutti (non solo maschi/femmine, ma in generale al rispetto di persone diverse da noi per cultura, religione, abitudini, …).
    La maestra della materna mi disse che a lei piaceva vedere i bambini e le bambine giocare separatamente per rispettare le differenze di genere! Rimasi allibita!!!

    • grazie dana 🙂 . santocielo….no, le maestre di giovanni, da questo punto di vista, sono fantastiche…hanno lasciato i bambini decidere, piano piano, di “mescolarsi”: li hanno lasciati sedere con chi volevano, e ora che siamo alla fine dell’anno molti bambini si siedono con le bambine, fermo restando che mi pare avvertano come una “necessità” del conflitto!!!

      • i conflitti (parlo in generale) ci possono stare ma andrebbero saputi governare,e ove possibile, ricomposti. Nella fattispecie questo compito spetta alle maestre..bambine e bambini, e in seguito uomini e donne sono destinati a convivere

  5. […] ha rappresentato per me la nascita di un figlio, maschio. Ho anche iniziato a raccontare  del primo serio approccio del bambino con un gruppo di maschi coetanei, in prima elementare. Quest’anno, che frequenta la seconda, il mio sguardo rimbalza dai […]

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