la rivincita di Lombroso

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Ma come sono le donne friulane? E quelle venete, lombarde o marchigiane?O forse siamo noi, donne calabresi, tra le poche -in Italia- a godere del privilegio di essere quasi perfettamente incasellate in uno stereotipo, molto letterario, a tratti romantico, grottesco, quasi lombrosiano. In una parola: utile (ovvero: che fa comodo, ma a chi?). Del resto, chiunque cede almeno una volta nella propria vita al pregiudizio. Io, ad esempio, se da una parte sento di avere uno slancio particolare nei confronti delle isolane (siciliane e sarde), che mi figuro come donne autonome e intelligenti, dall’altra a volte mi sento colpevole di pregiudizio nei confronti degli emigrati, che mi pare possano traformarsi nei peggiori razzisti, non sempre ovviamente.

Il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome, diceva Rosa Luxemburg. E come gesto di responsabilità politica, Renate Siebert non ha dubbi nel definire razzista uno dei commenti prevedibili (visti i tempi) e giunto puntualissimo come coacervo di stereotipi medievali e razzisti

“Una storia come questa potrebbe essere accaduta in qualsiasi altro posto d’Italia. Trovo assolutamente razzista e aberrante che si possa parlare, in questa vicenda, di specificità calabrese”. 
Per come conosco la Calabria – aggiunge Renate Siebert – devo dedurre che chi sostiene queste tesi è sostanzialmente razzista. Per questo non condivido che si possa parlare di specificità calabrese”. [fonte]

Credo che ciascuno di noi sia anche il luogo nel quale vive, nel quale è nato e cresciuto e dal quale non si può astrarre completamente, nel bene e nel male. Non ho bisogno di raccontare, qui e ora, le mie esperienze personali rispetto a cosa  significa essere  “donna calabrese” (femminile-singolare).Lo faccio, anche, ogni volta che scrivo qui. Ribadirne alcuni concetti proprio adesso, significherebbe quasi dover giustificare un senso di inferiorità collettivo, che non provo. Un pò come sentendosi beccata in fallo, distogliere l’attenzione puntandola sui “meravigliosi paesaggi”, sulle “bontà enogatronomiche”, o sulle “antiche vestigia magnogreche”. 

Nel mio microcosmo, do una rappresentazione quotidiana di cosa vuol dire essere donna in Calabria. Peraltro, assieme a donne provenienti da diverse parti d’Italia, abbiamo aperto un discorso (serio) sulle donne del sud/ i sud e le donne, che dovrebbe proseguire pubblicamente a breve, grazie ai numerosi spunti di questa scommessa politica:

Oggi che tre quarti del pianeta sono al margine, stare al sud è stare sul taglio»  dice Tristana Dini «È situarsi in una posizione dentro/fuori al Sistema, punto d’ascolto mediano tra sé e l’altro, dove l’altro è il territorio» ha specificato Nadia Nappo.(cit. da)

quella coscienza critica esiste, ci fa affermare che serve maggiore dimensione pubblica, “altra”, ma soprattutto ci fa procedere per tentativi sia pratici che teorici e credo che in questo senso il contesto (Sud) incida molto. Il contesto-sud ci spinge più che mai e ci fa sentire la  necessità di reinventare pratiche e parole.ho sottolineato (cit .)

Sarebbe egualmente imbarazzante chiamare in causa le ormai famose sindache o le testimoni di giustizia, come esempi positivi (e possibilmente contro corrente). Voglio, invece, dedicare il mio pensiero a DeniseLaura, GuglielminaSabrinaAnna, Giovanna, Vincenza e alle compagne di ogni giorno, con le quali ci occupiamo delle nostre vite e di politica, in Calabria. Anche con risultati sorprendenti, come racconta Denise in contro versa:

<<Tornata in Calabria[…] Mi riappropriavo di una storia che mi riguardava nel profondo, e in tutto questo mi scoprivo testimone e indagatrice di una rimozione più grande di me.>>

  foto di Federica Cipolla, per il nostro sito di DonneCalabresiinRete 387094_4341293686064_1437157191_n

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consiglio la lettura della riccia JustLaurè e della spumeggiante Mita Borgogno e di Tiziana Selvaggi

p.s. Signore! Se saltate dalla sedia ( giustamente) ad ogni gesto che abbia anche solo la parvenza del razzismo e poi di quelli che riguardano le donne del sud-a voler essere buona-neanche vi accorgete, è la conferma che esiste un problema, mai risolto, anche tra “noi”.

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