Leggo per caso un commento di Giulia Fresca, tra le altre cose editorialista di Articolo21.info, a proposito dell’idea dello scrittore Roberto Saviano di scrivere un libro sulla ‘ndrangheta. Non conosco Giulia Fresca, ma so che ha un curriculum splendido, quindi immagino che sia una persona davvero in gamba.
Il suo articolo mi fa sentire chiamata in causa, doppiamente: come calabrese e come donna.
Qui non voglio parlare di Saviano, della sua vita, dei suoi libri, del suo impegno sociale, dei suoi rapporti economico-contrattuali con la Mondadori, che non ho mai gradito. Voglio parlare dell’opportunità o meno che un/una qualunque scrittore/trice o giornalista, calabrese e non, possa avere di parlare di ‘ndrangheta e Calabria.
“ “…..Ma chi è Saviano per venire a “raccontare” la ndrangheta?.[ un uomo che fa lo scrittore, dico io ]
È una persona che vive in una terra martoriata da gente che l’ha depredata ai propri utili generando povertà e stato di bisogno? [penso proprio di si, anche se si chiama Campania]
La ndrangheta si sa, è l’organizzazione più “facoltosa” al mondo eppure la Calabria è la regione più povera d’Italia o forse dell’intera Europa. Chi scrive di queste cose, denunciando quotidianamente gli abusi, i soprusi e le ingerenze politico-criminali, rischiando la vita seriamente perché è qui che vive ed abita, non ha certo intenzione di speculare attraverso la vendita di un libro che ancora deve vedere la luce e che però già fa parlare di sé preannunciandosi come un nuovo best-seller.[. incondizionato rispetto e sostegno a tutti i giornalisti che rischiano la vita ogni giorno e che, di norma, poco si stizziscono se uno scrittore vuol parlar di ‘ndrangheta. Ma come la mettiamo allora con Iacona che ha addirittura osato venire in Calabria con le telecamere, pur non essendo nativo e/o residente (dice l’amica Rosy G.)? Cosa fanno tutti i giornalisti e gli scrittori che si occupano di denunce sociali e, ovviamente, ne traggono un guadagno. Speculano? Quello di scrivere non è forse un “mestiere” (oltre che una passione e una mission per alcuni)?]
Tutto ciò è vergognoso e da calabrese dico ad alta voce: Saviano, No Grazie! [ non condivido la vergogna, da calabrese]
Si dedichi ad altro nella vita, si goda i frutti delle sue consumate fatiche nella tranquillità dei luoghi protetto dalle sue scorte.[un’affermazione ingiusta, a mio giudizio. In tutta sincerità non cambierei affatto la mia vita, e le mie difficoltà a mettere assieme i soldi per partire in vacanza, con la vita di Saviano ed il suo conto in banca, sto bene cosi’.]
Lasci perdere la Calabria alla quale non farà certo un piacere, perché non è in grado di trarre da questa terra le cose positive che in essa, nonostante tutto, si generano continuamente[Presupponente. Ancora non è stato scritto nulla ma la Giulia Fresca sa già quale potrà essere il contenuto. Altre opere letterarie ci raccontano di come invece sia possibile parlare liberamente della ‘ndrangheta senza per questo mortificare la Calabria ed i calabresi, anzi.Vedi sempre Ius Sanguinis di Paola Bottero, ad esempio]. È sufficiente rivolgere lo sguardo alle cooperative sociali nate avendo per mission il cambiamento della Calabria e operanti per il riscatto delle comunità locali, che realmente si battono contro le mafie inserendo nel mondo del lavoro persone svantaggiate. Persone che vengono cancellate dai “libri paga” della criminalità organizzata che in Calabria offre solo manovalanza.
La vera ‘ndrangheta è culturale, è quella che afferisce alla soggettività e conflitto, alle “soggettività oggettivate”, di sentimento intimo e personale delle amicizie, di questioni al “femminile”, di situazioni che pongono in rapporto tradizione/modernità, etica e responsabilità.[tutto vero, andrebbe bene anche come slogan.A patto che ci si ricordi anche dei morti ammazzati, che sono un esercito muto]Nei fatti di ‘ndrangheta, chi li vive davvero e ne conosce il significato più profondo, paragona la condizione femminile della donna del criminale “come una pasta di pane”, poiché ciò che appare dimenticato o rimosso nelle narrazioni maschili della storia non è l’eccezionalità delle donne, bensì la loro normalità. Lo scialle nero, il “guardaspaddi”, è memoria di una generazione passata ma anche vissuto del presente e sguardo al futuro, che ci conduce a quel crocevia tra tradizionale e moderno, tra destino e scelta, che viene faticosamente elaborato nella soggettività delle donne del Sud. Il “guardaspaddi” diventa anche il luogo dove custodire segreti, dolori, paure: luogo di pace e di conflitti insieme. Quell’abito nero che rappresenta il lutto delle donne di ‘ndrangheta e di mafia rimanda a quel significato di “mafia” con quale intendiamo un fenomeno complesso, polimorfico, consistente nell’uso di pratiche di violenza e di illegalità, in genere da parte di strati sociali dominanti o tendenti a diventare tali come la “borghesia mafiosa”, allo scopo di accumulare ricchezza e acquisire posizioni di potere, avvalendosi di un codice culturale non immodificabile e di un relativo consenso sociale, variabile a seconda della composizione della società e dell’andamento del conflitto di classe o comunque del rapporto tra le varie componenti. Nelle “mafie” si inserisce erroneamente anche la ‘ndrangheta ma a torto, perché essa è fatta da legami di congiunti, da “fratelli di sangue” e da donne all’interno della “signoria territoriale”. Questa “mafia” intesa come un’organizzazione formalmente monosessuale, riservata ai maschi, sottolinea invece l’elasticità di fatto che consente il contributo sempre più rilevante della donna, vista come un “fantasma che prende corpo”, mentre la “mafia” ,ma ancora di più la ‘ndrangheta, è come una rete che cambia colore passando da un centro fitto e nero ad un intorno grigio fino a giungere ai limiti nel candore del bianco: il candore delle fedine penali di quanti non sono direttamente coinvolti ma che rappresentano la forza vera della “mafia” attraverso l’omertà e la ricerca della “pace”.” “[Mi pare che ci sia una strumentalizzazione dell’argomento (donne), per cui rimando, chi fosse interessat*, ad un’attenta lettura di alcuni testi di Renate Siebert (ne ha parlato in piu’ occasioni di donne e ‘ndrangheta)] Roberto Saviano non scriverà mai di queste cose, perché non le conosce, non le vive e soprattutto perché non è in grado di capirle, dalla sua postazione “lontana[cosa significa? Che chi vive in altre parti del mondo non puo’ parlare e scrivere della condizione delle donne in Congo, in Iran, in Afghanistan, a Ciudad Juarez in Messico, perché è troppo lontano e quindi non potrà mai afferrare il dramma delle esistenze delle donne che ci vivono? tutto in base ad una interpretazione distorta del significato dello ius sanguinis?]”, ma soprattutto non saprebbe, per convenienza, porre il suo lavoro a fin di bene per questa terra, che ancora una volta si offre, stupidamente, come preda.” ”
Da donna, calabrese e colta quale è, Giulia Fresca dovrebbe sapere cosa scrive Renate Siebert nelle prime pagine di “Le donne, la mafia”, quando spiega le motivazioni del suo interesse nei confronti di un simile argomento e quindi la riflessione che ha spinto la sociologa a dedicarsi al libro. La Siebert sembra avere avuto una improvvisa presa di coscienza: che nessuna delle donne calabresi che narrano di sé attraverso il suo libro “E’ femmina pero’, è bella” abbia accennato al problema della ‘ndrangheta, nel corso delle numerose interviste. Questa è esattamente la stessa cosa che mi hanno spesso rimproverato amiche e amici che non vivono in Calabria: che noi donne e uomini calabresi, di ‘ndrangheta, ne parliamo stranamente poco.
Allora, ben venga chi è disposto a farlo!
Da donna calabrese (nata, cresciuta ed “ivi residente”!) che ama profondamente la sua terra, con tutte le sue contraddizioni, il mio appello è questo: ADOTTA ANCHE TU LA CALABRIA (e fatti adottare dai calabresi)!nel senso di:
Leggi e parla della ‘ndrangheta, tanto da scoprire che la Calabria e i calabresi sono altro.
Leggi e parla di come vivono le donne in Calabria, tanto da scoprire che abbiamo bisogno anche di questo: che nulla venga taciuto.
E chi è in grado, ne scriva pure! A me, come cittadina calabrese , fa piacere.
( foto di Paola Bottero: Capo Vaticano- VV)
La penso come te, con le stesse parole, con lo stesso sentimento, con la stessa passione.
fernanda
Articolo esaustivo.La penso esattamente allo stesso modo.Abbiamo bisogno, lo sostengo sempre, con fermezza, di tutto e tutti quelli che possano aiutarci,con la parola, l’analisi approfondita e fatti concreti ad affrontare e sconfiggere la mafia, sradicando un pò per volta,questo male che capillarmente offusca la ns società.Nel ns piccolo, possiamo fare anche tanto, con atteggiamenti “puliti”,superando logiche assistenziali e combattendo la politica corrotta, grazie al ns voto.Basta, siamo stufi davvero:altrimenti, si, ammazzateci tutti!
Ed è ius sanguinis anche il luogo comune secondo cui “della Calabria dovrebbero scrivere i calabresi”. E perchè? Perchè non anche altri? E’ cos’è la calabresità che ti autorizza legittimandoti a scrivere della Calabria? La patente che ti accredita in Calabria e nel resto di Italia? Il fatto che si pensi che “è cosa nostra”, ci rende perdenti e morenti. Mentre dovremmo essere liberi come l’aria, di volare, pensare, confrontarci, guardare oltre la nostra linea di veduta o di miopia, aprirci al mondo e aprire il mondo a noi, e invece “cosa nostra è”.
Ius Sanguinis di Paola Bottero – Città Del Sole Ed., Sintesi dell’Intervento di Fernanda Gigliotti ad Aieta il 12 Agosto 2010
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“Lo “Ius sanguinis” è la regola in base alla quale acquista la cittadinanza il figlio (ovunque sia nato) di padre cittadino o, nell’ordinamento italiano, il figlio di madre cittadina se il padre è ignoto o non ha la cittadinanza italiana, nè quella di altro Stato. Si contrapone allo “ius soli” che fa dipendere l’acquisto della cittadinanza dalla nascita nel territorio dello Stato.
Lo ius sanguinis è proprio di quei Paesi che, per ragioni demografiche o anche solo di pregiudizio, ritengono necessario restringere la cittadinanza, limitandola fortemente e concedendola solo per “diritto ereditario”.
“Ius sanguinis” è la convinzione che la discendenza naturale, quindi, valga a trasmettere, di generazione in generazione, il carattere intrinseco che fa di un uomo un cittadino dello Stato.
Ma ius sanguinis è lo stesso principio che regolamenta l’appartenenza ad alcune associazioni criminali e a tante altre associazioni, che benchè non criminali, sono escludenti, chiuse, rituali, vecchie, destinate a sparire spesso annegando nel proprio sangue.
E’ la regola che esclude ogni altra, che impone comportamenti fondati su regole imposte, irrazionali, spesso incivili. Comportamenti che nascono non dalla condivisione di una regola, ma dal riconoscimento dell’odore del sangue. E si passa facilmente dall’appartenenza e riconoscimento dell’odore del sangue di un popolo, a quello di un gruppo ristretto, ad una famiglia.
Ed è lo ius sanguinis che cancella ogni regola di diritto civile, allorché la mamma e il papà di Alice obbediscono alla richiesta di Don Nino di liberargli la casa dove abitavano, subito, immediatamente. La richiesta di Don Nino annulla ogni regola di locazione, ogni procedura di uno sfratto che non da preavviso, che non conosce contratto.
Ed sempre ius sanguinis quello che affoga l’armatura di cemento armato nel primo solaio della casa in costruzione, delle tante case calabresi, perché don Peppe e la moglie, genitori dolcissimi e lungimiranti di Alice, quando faranno i soldi ripartiranno da quel solaio per costruire alla loro Alice, studentessa modello, pianista, danzatrice di jazz, colta e raffinata, amante dei viaggi e curiosa del mondo, la casa dove vivrà il suo futuro di sposa e di madre. Una schizofrenia culturale che fa della calabresità un’antitesi dell’europeismo.
Ed è sempre ius sanguinis quello che fa dire a Mimmo, l’uomo con il buon profumo, ben vestito, con quasi 2500,00 euro di abbigliamento addosso, che “Alice” appartiene a suo figlio Rocco, che “Rocco non voleva farle male” accoltellandola prima, riducendola in coma e gonfiandola di calci poi, “ma solo farle capire” che dai legami di sangue non ci si libera. Del resto lui l’amava, per questo è arrivato ad ucciderla (sich!!).
Ed è ius sanguinis anche il luogo comune secondo cui “della Calabria dovrebbero scrivere i calabresi”.
E perchè?
Perchè non anche altri?
E’ cos’è la calabresità che ti autorizza legittimandoti a scrivere della Calabria?
La patente che ti accredita in Calabria e nel resto di Italia?
Questo pensare che “è cosa nostra”, ci rende perdenti e morenti. Mentre dovremmo essere liberi come l’aria, di volare, pensare, confrontarci, guardare oltre la nostra linea di veduta o di miopia, aprirci al mondo e aprire il mondo a noi, e invece “cosa nostra è”.
E fino a quando “penderemo” da questa chiusura mentale daremo ancora forza ai riti padani dell’ampolla dell’acqua del Po. Magari finiremo anche noi con l’ampolla nel fiume Sinni o nell’Acri, mentre dovremmo annegare nel mediterraneo, in un crogiuolo di culture aperte, solidali, ricche, europee.
La nuova edizione del libro di Paola Bottero, si chiude con due poesie di Pasquale Porchia: “Locride Greca Terra Scomparsa” e “Locride Calabra Terra Emersa” e volevo leggervi tre versi della seconda:
“….
Non chiedetemi se un altro domani
partorirà un giorno intatto pieno di canzoni
Qui niente, qui nessuno, può partorire un giorno intatto…””
GRAZIE FERNANDA!!!!
“Amo la Calabria ed i calabresi”…perché sono calabrese e perché vivo in questa terra nonostante nella vita abbia potuto scegliere di lasciarla.
Sono solo nata a Foggia per via del lavoro di emigrante di mio padre…ma sono calabrese a tutti gli effetti. Non sono una adottata e la storia della mia vita parla di Africa, Russia, Sardegna, e tanti altri luoghi dove ho vissuto, non villeggiato come fanno molti e ciononostante ho deciso di rimanere qui a lottare attraverso il piccolo contributo che avrei potuto dare come ingegnere e giornalista.
Loris Mazzetti, dedicandomi un suo recente editoriale ha ricordato la Calabria di De Seta. Quella di De Seta non è la Calabria e non è, care signore, quella che io descrivo. Io parlo di cooperative sociali che stanno riscattando la dignità di un popolo offesa dai soprusi di quanti hanno calpestato l’onorabilità di questa regione. Parlo di Magistrati e di giornalisti che operano in trincea, rischiando di saltare in aria solo per “colpa” del loro lavoro svolto con dedizione e passione. Nessun disturbo dunque, ben venga Roberto Saviano e ben venga lei… ma nudi di fronte alla realtà vera. La Calabria non è la terra dei piagnistei, ma di chi si rimbocca le maniche e ricomincia da capo, in tutti i settori della vita quotidiana. il mio invito a tutti è “Venite in Calabria” e lo faccio ripeturtamente attraverso Articolo21, ma venite a viverla, non a visitarla. Rimanete qui, respiratela e vi accorgerete che non è un trattato di letteratura od un documentario.
Non mi si accusi di gelosia né invidia…grazie a Dio la mia storia personale offre da sola la risposta e per quanto attiene alla Siebert, se non l’avete ancora fatto vi invito a leggere le pagine del mio libro Sognatore di Algoritmi dedicate proprio a lei. Paola Bottero è una pregevole firma e sebbene sia calabrese di adozione, l’apprezzo molto.
Mi auguro solo che l’equazione “Campania uguale camorra”, dopo Gomorra di Saviano, non diventi “Calabria uguale ‘ndrangheta” dopo il suo prossimo lavoro.
Grazie comunque per il vostro interessamento e la vostra considerazione.
Giulia Fresca
Cara Doriana, grazie per la segnalazione. Dico la mia.
L’articolo di Giulia Fresca è un’invettiva con tratti che richiamano un risentimento personalistico. Impressione mia. Di certo, se l’articolo è una miniera di contraddizioni, in ciò è perfettamente coerente (in senso latissimo) perché la realtà stessa descritta è di per sé contraddittoria.
Da un lato, infatti, scrivere di ‘ndrangheta & co. è vissuto come un atto civile e morale importante, viene quindi auspicato e salutato con favore, dall’altro, però, sembra che GIulia Fresca avanzi il sospetto che quella di Saviano sia una strumentalizzazione a fini di marketing.
Il punto è che che questi due aspetti coesistono quasi sempre. E la stessa situazione si ripresenta per altri fatti criminosi, per es di politici, criticando i quali molta gente si è arricchita, o si è costruita una carriera.
Ora. Per me, criticare in blocco gli scrittori che vi si cimentano sulla base di argomentazioni di tipo “pecuniario”, diciamo così, ha un vago sapore qualunquista.
Allo stesso modo, non vedere l’altra faccia della medaglia sa di infatuazione idealistica preadolescenziale, e di ottimismo scemo.
Insomma, i due aspetti ci sono e valutarli unilateralmente significa vedere le cose in modo riduttivo.
Concordo, per il resto, con Fernanda, però anche con te quando inviti le/i conterranee/i a scrivere di ‘ndrangheta. Se è vero che la provenienza geografica non pregiudica la possibilità di conoscere e raccontare culture relativamente altre, è anche vero che lo strano silenzio delle calabresi è spiazzante. In Calabria si parla di ‘ndrangheta nei comizi elettorali, nei circoli e nelle associazioni dedicate, in qualche sporadico libro di giornalisti coraggiosi (per es. di Claudio Cordova “Terra venduta” , Laruffa editore), per il resto, l’argomento è diventato un luogo comune noioso e la filosofia di una preoccupante maggioranza di conterranee/i sembra pericolosamente ricalcare il motto dello pseudocomico Rocco Barbaro (che sugli stereotipi dei calabresi, anche lui, ci ha costruito una carriera) “Io? Me ne fotto” combinato sinistramente al non meno funesto “tengo famiglia”, che poi vale anche per tutti gli italiani, che io sappia.
Insomma, è strano, e benché la cultura, la formazione e l’informazione (ammesso che siano separabili) non conoscono barriere geografiche, né è giustificato imporgliene, è legittimo e anzi opportuno domandarsi il perché di questo silenzio – che è un silenzio relativo, più che altro riferito al senso comune. Che puzza di ristagno, circolarità, rassegnazione, particolarismo.
E’ anche vero, infine, che il senso di inferiorità che hanno i calabresi è devastante ed emerge anche da queste righe. I calabresi, le calabresi, non si stimano. Forse questo è il punto.
Mi sento, dal profondo dell’anima, di dire grazie a Saviano, alla Bottero e a tutti quelli che parlano e scrivono di ndrangheta, da qualsiasi parte dell’Italia o del mondo lo facciano. Dimostrano che la Calabria è questo, ma è anche altro: una terra che vuole risorgere, una terra carica di potenzialità, che ha voglia di urlare, di lottare, che ha voglia di libertà. Il silenzio non ha mai aiutato niente e nessuno. Il silenzio è un lento morire: la Calabria non vuole morire.
Gentile Giulia, non dubito del suo amore per la Calabria, e per quanto mi riguarda non è rilevante il luogo in cui si nasce, e si cresce, per poter parlare di ‘ndrangheta senza distorcere la realtà e le persone che in questa realtà ci vivono.
Mi scuso per l’inesattezza biografica che la riguarda, ma nel suo cv online, ovviamente, i fatti privati non si evincono e quindi correggo immediatamente quanto scritto per chi dovesse leggere in futuro.
Anche io ho fatto una scelta, quella di ritornarvi, e avrei potuto come lei fare diversamente. Apparteniamo alla stessa generazione(sono del ’73), ma saprà bene che la generazione delle giovani/giovanissime è una generazione di donne in fuga, dalla nostra terra, le statistiche sono molto chiare a riguardo. I dati ci dicono che , diversamente da quanto avveniva negli anni sessanta, la novità è una presenza femminile che rappresenta ormai stabilmente quasi la metà dei migranti e in alcune realtà territoriali costituisce la maggioranza, perchè maggiormente scolarizzata, perchè male occupata o non occupata, insomma le giovani donne sono stanche di provare ad investire le proprie risorse intellettuali in questa terra (o meglio è la terra che non” investe” sulle donne) e ad una figlia che volesse andarsene non potrei dar torto.
L’articolo di Loris Mazzetti non l’ho trovato, mi dispiace, ma posso capire benissimo di cosa parla, non ignoro le realtà locali come le coop., ma sappiamo bene quante poche siano e quanto poco possono fare rispetto ad un gigantesco, abnorme problema, insomma: dovrebbero essere aiutate, o meglio avremmo bisogno di una maggiore presenza di Stato ed Istituzioni, nelle quali voglio ancora credere.
Lungi da me dal voler rappresentare la Calabria come “la terra dei piagnistei”, non mi si addice e non Le (Calabria) si addice, ma non ritengo salutare si parli a mozzichi e bocconi dei problemi di “casa nostra” solamente quando ad un giornalista arriva una busta con dentro un proiettile, o ad un magistrato un’intimidazione, ritengo doveroso e salutare per la nostra terra, invece, che se ne parli e anche molto.
Penso che chiunque (non autoctono!) voglia informarsi e parlare SERIAMENTE di ‘ndrangheta debba attraversare necessariamente un passaggio obbligato: quello di sentirsi un po’ calabrese, e questo “passaggio” implica la consapevolezza che la Calabria NON è la ‘ndrangheta, e che i calabresi sono CONTRO di essa, perchè distrugge le nostre vite e la nostra terra.
Nudi di fronte la realtà, dovremmo esserlo quando andiamo a votare, oppure quando diamo e/o riceviamo una “raccomandazione” (che brutta parola!), perchè chi si rimbocca le maniche e non trova lavoro, lo va a cercare altrove, giustamente.
Il suo invito mi piace molto. “Venite in Calabria”, ci provo anche io, nel mio microcosmo. Quindi: benissimo l’invito, ma magari anche un poco di accoglienza, “in tutti i settori della vita quotidiana”, non sarebbe male…rimbocchiamoci le maniche allora, ma sul serio!E gridiamolo pure a tutti che i calabresi ripudiano la ‘ndrangheta e la sua mentalità!
Quanto alla sua storia personale, non mi pare di aver parlato di invidie o gelosie. Ma quando mi parla del suo libro (che non ho ancora letto) mi viene in mente che, magari, visto che è una scrittrice e che è tanto sensibile all’argomento, potrebbe parlarne proprio lei di ‘ndrangheta e Calabria, magari nel prossimo libro che pubblicherà.
Per concludere, ritengo che l’equazione Calabria uguale ‘ndrangheta, per chi fa equazioni, non abbia bisogno di un libro di Saviano. L’equazione c’è già, ripeto, per chi le fa. Le altre persone invece avrebbero modo di scoprire cosa succede a “casa nostra”, mentre la “politica” pensa ai decreti ad personam. Il mio appello rimane fermo, mi auguro che tante persone vorranno “adottare” e farsi adottare dalla Calabria.
Grazie per il suo intervento, la saluto
Doriana
Adesso però,una piccola cosa la vorrei chiarire. Io sono campana il che in sé non vuol dir nulla…non esiste una campanesità…son troppo distante da benevento e da Avellino come voi. Potrei dire che son napoletana, maanche questo poi a ben vedere è lontano almeno una ventina di kilometri dal vero. Posso restringere ancor di più il cerchio dicendo che son torrese! ma potrei fare ancora ulteriori distinguo fino a specificare una parte della città, che non è esattamente uguale a quell’altra. E poi e poi…che ho detto? A che serve questodoc sulla carta d’identità? E cosa potrebbe impedirmi il non averlo? Questoio non lo capisco sinceramente! Non credo che sia necessario adottar la Calabria più di quanto non urga adottar la Campania o magari la Lombardia. E pertanto sono tutte adottate…per quel che può servire! Non credo proprio che Saviano abbia creato l’equazione Campania=Camorra…quella già c’era…come l’equazione Calabria=ndrangheta. Ed è questa equazione che fa comodo oltre che alle rispettive mafie a quelli che più o meno indirettamente ne godono i frutti. Piuttosto credo che l’idea di portare avanti l’idea camorra=Italia=anche mondo…sia ciò che veramente dà più fastidio. E questo se Saviano è stato capace di fare più di altri…ben venga Saviano.
Come diceva Zulù ” sole pizza e mandolino..a napoli si muore a tarallucci e vino”
Ecco forse anche in calabria e in sicilia ed adesso forse ci siamo un po’ stufati. Anche pensare all’isolamento di quelli che fanno a rischio della vita delle cose per cambiare, che oggi poi vuol dire in molti casi fare solo il proprio lavoro onestamente, mi fa desiderare che i riflettori restino sempre accesi quelli che fanno luce veramente e che non servono piuttosto ad abbagliare!
Grazie Sud de Genere!
Cara Doriana, premesso che condivido ogni parola del tuo intervento, continuo ad avvertire un certo “sbandamento” che ho cercato in qualche modo di manifestare sul mio profilo di facebook allorquando, facendo riferimento alle “osservazioni” di taluni nei confronti di Paola Bottero e Roberto Saviano ho scritto che se alcuni calabresi si “indignano” ed io no, forse devo preoccuparmi. Forse il mio pensiero critico è andato in corto circuito tanto da non farmi comprendere come, per esempio, il sito di articolo 21 possa ospitare un intervento che, di fatto, si scaglia contro chi vuole semplicemente esercitare il diritto di pensiero e di parola. Ma forse anche il sito in questione è in confusione mentale? Consiglierei a tutti una rilettura dell’articolo in questione. Mi chiedo cosa mi direbbe l’amico Cesare Pitto,docente di antropologia culturale, nel momento i cui dovessi contestargli i tanti scritti su comunità e/o etnie che poco hanno a che fare con la sua Genova. La sua ovvia risposta la immagino per intero, ma per garbo preferisco non riportarla.
Cara la mia dolcissima amica catanzarese, c’è molta strada ancora da fare. Preferirei quindi che le energie di noi tutti (calabresi e non) venissero impiegate in modo costruttivo. Non mi interessa e non mi appassiona il conto in banca di Saviano, nè gli utili che la Mondadori realizza sulle iniziative editoriali legate a lui. Mi appassiona, e molto, la speranza che l’immobilismo e l’insipienza della politica regionale (questa si rea dei nostri drammi) venga superata da una collettività che, anche grazie a persone come Paola e Roberto, discute, si confronta liberamente ma, soprattutto, prende finalmente piena coscienza e consapevolezza della necessità di riappropiarsi del proprio territorio e del proprio futuro. In definitiva, del proprio destino.
Abbrazzuni, dal tuo amico cosentino mediano metodista.
P.S.: e se per esempio ci indignassimo un tantinello per la riproposizione del ministro La Russa di inviare l’esercito in Calabria?
Ho appena letto sul sito di articolo21 la replica di Loris Mazzetti a Giulia Fresca. Devo quindi chiedere scusa agli amici che gestiscono il sito perchè mi era sfuggita la cosa più importante: il loro è vero rispetto della libertà di espressione al punto che hanno dato spazio anche a chi sembra volerne limitare i confini.
Grande Loris Mazzetti e grazie ad articolo21!!!
metto il link che Maurizio molto gentilmente mi ha girato, per chi volesse leggere:
http://www.articolo21.org/7195/editoriale/se-io-lavorassi-in-calabria-non-mi-sentirei.html
Doriana
“Ma chi è Saviano per venire a “raccontare” la ndrangheta ” ? Questa frase non mi piace e non mi trova per niente d’accordo. Credo che anzi, più se ne parla e meglio è. E che lo faccia Saviano, probabilmente è ancora meglio : avrà più risonanza !
Se si aggiunge una voce , per portare maggiore chiarezza su temi che oramai coinvolgono l’intero Paese, ben venga ! Saviano non è calabrese , e che vuol dire ? L’argomento “criminalità” lo conosce bene e probabilmente ne sa più lui di tanti calabresi.
Un’ultima cosa, smettiamola di pensare “ognuno al proprio orticello” dove, se “un forestiero” viene a metterci il naso, gridiamo allo “scandalo”; siamo TUTTI italiani, siamo e vogliamo essere “una Nazione una”. Io non dico : “sono del Nord”, dico : “sono italiana” e quello che riguarda te riguarda anche me : parliamone ! I “distinguo” lasciamoli per altre cose, noi produrremo i nostri wurstel e altri le loro caciotte, ma vivendo sotto lo splendido tetto che è l’Italy , da nord a sud.
Allora.
Ho letto un paio di giorni addietro l’articolo della Sig.ra Fresca e aggiungo qui un paio di considerazioni.
In premessa, le mie scuse per il fatto stesso di scrivere qui e di questi argomenti, giacché i miei documenti riportano chiaramente la mia nascita ferrarese, il che – pare – non sarebbe idoneo a garantirmi il diritto all’opinione e alla sua espressione al riguardo.
Ciononostante, il mio amore sviscerato per questa terra maledetta è indiscutibile, al pari di quello di chiunque altro, e questo credo che basti, unito agli occhi per vedere, alla testa per ragionare e alla voce per parlare.
Io dico che non ci vuole un Saviano che scrive (o progetta di scrivere) un libro sulla ‘ndrangheta (peraltro ancora in fase di progetto, per cui difficilmente giudicabile sia in senso positivo che negativo, da parte di chicchessia; la critica preventiva in questo caso, infatti, secondo me avrebbe il “solito” sapore di “mettersi sulla difensiva” per non dovere (volere, potere) entrare nel merito degli argomenti).
Io dico che di Saviano che scriva un libro sulla ‘ndrangheta, e su come essa ci abbia preso TUTTI prigionieri (anche le anime belle che vogliono (devono?) illudersi del contrario) CE NE VORREBBERO DECINE.
Io credo che il pensare che “i panni sporchi calabresi ce li laviamo tra noi calabresi” – è questo infatti a mio avviso, al netto di ogni cosa, il succo del ragionamento della Sig.ra Fresca – sia alquanto venato di quel “familismo amorale” che è una delle radici da cui la mentalità di clan (e quindi, anche la mentalità ‘ndranghetistica) si sviluppa rigogliosa e vigorosa.
Anzi, dirò di più: credo che uno sguardo “neutro”, ossia non coinvolto e non “viziato” da inevitabili legami d’affezione (ai luoghi, alle cose, alle persone, e nel caso di questo articolo, ahimé, a mio avviso anche a parecchi stereotipi), possa essere molto più “chirurgico” di quello di uno di noi.
Io personalmente non mi arrogo il diritto di criticare Saviano con termini peraltro poco avveduti: Saviano viene infatti da “una terra martoriata da gente che l’ha depredata ai propri utili generando povertà e stato di bisogno”, a meno che non mi sia sfuggito qualcosa e la Campania non sia una succursale della civilissima Danimarca… non mi arrogo questo diritto perché a differenza di lui io, e come me TUTTI i calabresi, nessuno escluso, NON ho fatto nulla che pur lontanamente possa somigliare alla coraggiosa denuncia con tanto di nomi e cognomi come invece ha fatto Saviano con Gomorra.
Trovo poi, nell’articolo, una serie di salti logici il cui senso mi è, francamente, sfuggito (mia colpa sicuramente), ossia tanto per dirne una non capisco con quale acrobazia logica si sia saltati da una violenta critica a Saviano che “osa” mettere il naso nei nostri affari” (critica secondo me alquanto venata di gelosia e di quel “gioco al massacro – con conseguente delegittimazione – di Saviano” che da un po’ sembra diventato uno sport nazionale) ad una descrizione del ruolo della donna rispetto alla ‘ndrangheta che mi ricorda più che altro i soliti stereotipi da cattiva fiction televisiva: il siculo con la coppola e il marranzano, il calabrese con la lupara, la donna calabrese con lo scialle nero (e i baffi dove sono finiti? Nella bellissima puntata di quell’altro “impiccione in quanto non calabrese” come immagino lo definirebbe l’autrice dell’articolo, di anziane donne calabresi baffute ve n’erano parecchie).
Dove sono queste donne stereotipate? Vogliamo o non vogliamo capire che le cose non stanno più così, e che, finita la generazione (per sopraggiunti limiti di età) delle anziane donne baffute/sciallate di cui sopra, la donna di ‘ndrangheta sarà uguale a una qualunque coetanea calabrese, vestita all’ultima moda, con automobili prestigiose, e resa diversa dalle altre solo dalla ricchezza che le deriva dall’appartenere a quell’ambiente?
Vogliamo o non vogliamo capire che c’è stato un immenso salto di qualità, anche a livello “di immagine”?
Poi.
Che Saviano si possa godere “nella tranquillità dei luoghi protetto dalle sue scorte” i frutti (presumo che il riferimento fosse ai soldi guadagnati?) è affermazione disarmante nella sua puerilità ed ingiustizia; non vi è infatti chi non veda – immagino – che la propria libertà (che consiste anche in azioni banali quali andare a prendere un gelato, andare a comprare un giornale, etc) sia ben più preziosa dei soldi, il cui godimento infatti è comunque a quel punto parziale e sostanzialmente inutile.
Il fatto che in Calabria esistano alcune cooperative sociali nate avendo per mission il cambiamento, è senza dubbio lodevole, ma da solo NON BASTA: occorrerebbe una rivolta dal basso, da parte di tutti i cittadini, cosa che secondo me è difficile che accada; e del resto, il fenomeno è talmente pervasivo, e si è ramificato in tutti gli aspetti dell’economia regionale (e non solo) che ciascuno di noi, magari (anzi nella maggioranza dei casi sicuramente) a sua insaputa, basta che vada a far la spesa in un determinato posto per contribuire, di fatto, alla crescita della piovra.
La Calabria potrebbe avere speranza di riscatto solo se si smettesse di fare due cose: da un lato, la mentalità piagnona in forza della quale lo stato delle cose è sempre colpa di qualcun altro, e in forza della quale il calabrese si dimostra spesso incapace (o non interessato?) ad assumersi anche la sua quota di responsabilità dei fenomeni; e dall’altro, se il calabrese medio la piantasse una volta per sempre di avere la mentalità feudale che è invece così diffusa e che tanti guasti ha prodotto a tutti i livelli: la mentalità del “diritto=favore” con tutto ciò che ne consegue.
Non prendiamoci per i fondelli: siamo noi, uno per uno e come collettività, a dovere rialzare la testa, a dover essere coraggiosi e intelligenti, a diventare donne e uomini liberi, riprendendoci in mano il nostro destino, ricostruendo futuro ed opportunità per chi verrà dopo di noi e ha il diritto di trovare uno scenario vivibile, pulito, e non trasformato in una succursale della Colombia criminale.
Siamo noi a dovere uscire dallo stupido isolamento che ci porta a dire “questa è cosa nostra, che nessuno si impicci”, e grazie al quale il mostro cresce e si nutre.
Infine.
I commenti isterici anti-Saviano secondo me non fanno onore a chi si fregia o si vuole fregiare dell’ambito titolo di “intellettuale calabrese” (titolo peraltro piuttosto inflazionato; in questa terra infatti, basta che uno sia un professore di scuola media con la passioncella di rovistare in qualche archivio parrocchiale, che subito si autodefinisce “intellettuale calabrese” se non addirittura, con raggio più ampio “intellettuale meridionale”.
Piuttosto, sono degni di discutibilissimi e squallidi “maitres à penser” da passerella dei Telegatti, tipo che ne so, Afef (che ebbe a dichiarare, quando il film “Gomorra” venne presentato al Festival di Cannes, che “Gomorra è una vergogna per l’Italia intera “; o lo stesso Berlusconi, che disse che vorrebbe strozzare gli autori di fiction e di libri sulla mafia “che non ci fanno fare una bella figura“.
Sul commento riguardo a Saviano che “non saprebbe, per convenienza, porre il suo lavoro a fin di bene per questa terra, che ancora una volta si offre, stupidamente, come preda” sorvolo perché non è il caso di intavolare, qui e ora, una ulteriore discussione – che meriterebbe altro spazio e sarebbe troppo lunga – sul classico “vittimismo alla calabrese” per cui noi siamo sempre e solo “vittime e prede”.
Ricordo solo alla Sig.ra Fresca che secondo Hegel ogni cosa esiste, e nei suoi confini è definita, dall’esistenza del suo opposto; e quindi, che non vi è un carnefice se non vi è una vittima – e viceversa.
Del resto, sicuramente la Sig.ra Fresca non ignora – tanto per fare un esempio calabrese concreto – che i vari “prenditori” del Nord Italia che son venuti qui a depredare la nostra terra negli ultimi decenni approfittando delle varie leggi incentivo per l’imprenditoria, lo hanno potuto fare solo grazie alla fattiva collaborazione di calabresi.
Epilogo
Sarei curiosissima di conoscere l’opinione della Sig.ra Fresca sulla bellissima trasmissione “Presa Diretta” che – condotta da uno che non mi risulta nato in Calabria quindi senza la “legittimazione a parlare” di cui la Sig.ra Fresca pretenderebbe fosse munito Saviano – ha affrontato con veridicità e crudezza il tema di cui sopra, la ‘ndrangheta.
Sono esterrefatta e stanca di rispondere a persone che non hanno alcuna intenzione di apprendere la lingua italiana. Mi dispiace dovere leggere commenti che stravolgono totalmente il senso del mio scritto ed invito le gentili Signore a voler moderare i toni e le illazioni, seppure velate sul mio conto. Questa terra è così perché esiste gente che pensa a fare carrierismo politico senza avere né arte né parte, che occupa posti di potere grazie a servigi resi e che è sul libro paga di qualcuno… io sono una donna LIBERA che ha deciso di difendere la Calabria con onestà intellettuale e morale innanzitutto.
Bisogna saper leggere oltre il significato letterale delle parole scritte…la ndrangheta non si sconfigge aspettando il nuovo Messia (in qualunque modo si chiami!) ma lavorando seriamente per estirpare la malapianta…io lo faccio in ogni attimo del giorno e voi? care, esperte e “giudicanti” Signore?
Questo è un blog e pertanto mi scuso con la responsabile per il mio tono, ma invito anche voi a fare altrettanto e se vogliamo parlarne pubblicamente in un bel dibattito, da calabrese, giornalista e scrittrice sono disponibile ed aperta a qualsiasi confronto…sapete dove trovarmi e qualcuna di voi ha anche il mio numero di cellulare.
Sempre cordialmente
Giulia Fresca
@Giulia,
mi pare che i commenti di sopra siano stati espressi facendo un uso piu’ che appropriato della lingua italiana e non dubito minimamente delle capacità cognitive di chi scrive, compreso di me stessa. Quando si esprime una opinione, come ha fatto lei nel suo articolo, non ci si puo’ aspettare sempre l’approvazione quindi non si dovrebbe stupire se chi non è daccordo si esprima, con argomentazioni sensate.
Detto cio’, lei è stata piu’ che chiara e non è stato fatto nessuno stravolgimento di parole e pensieri. I toni degli altri, piu’ che accesi, sono pieni del sentimento al quale piu’ volte lei si richiama idealmente, e non.
Circa le “illazioni seppur velate”, rileggendo i commenti non mi pare proprio ce ne siano. Se vuole, puo’ essere piu’ chiara.
Quanto ai “mali” della nostra terra sono perfettamente d’accordo, inizierei da chi gestisce soldi e potere, dai chi pur di andare avanti lo sostiene e da chi pur di farsi ascoltare sarebbe capace di dire qualunque cosa.
Io non la conosco (e non ho neppure il suo numero di telefono), mi fa piacere che si senta impegnata e donna libera, ma mi auguro anche che non abbia voluto presumere, dicendo cio’, che le/gli altre/tri non lo siano (e qui le mie capacità cognitive vacillano).
Per la serie “volevamo venire incontro alle vostre ridotte capacità mentali….” Il suo messaggio oltre le righe è chiarissimo, ed io che non aspetto nessun Messia, anche perché sono atea, ho compreso, le ho risposto.
Questo è un blog, come giustamente ricorda, uno spazio personale. Mi pare di essermi rivolta a lei nella maniera piu’ gentile ed equilibrata possibile.
Qualora, da giornalista e scrittrice, volesse aprire un confronto pubblico in una sede di suo gradimento, sarei disponibile a parteciparvi , purchè si affronti un argomento un poco piu’ serio (visto che ne avremmo tanti a disposizione) di “Saviano sulla ‘ndrangheta? No, Grazie!”o “per parlare di ‘ndrangheta serve il certificato di residenza?”
Saluti cordiali a lei, Doriana
Dispiace leggere che una persona sicuramente impegnata come la Sig.ra Fresca si risenta così tanto per dei commenti ai quali – seppure talora non graditi – un intellettuale sa bene di esporsi liberamente nel momento stesso in cui la sua opera (sia essa un libro; un disco; un articolo di giornale; addirittura, più in piccola scala, un post su un social network o su un blog) esce dalle sue mani e viene “data” al mondo
Un intellettuale libero e senza condizionamenti deve essere pronto anche a fare i conti con opinioni e pareri differenti dai suoi; mi viene in mente un nome a caso – Pasolini, che fece più e più volte i conti con critiche e dissensi anche violentissimi sulla sua opera (cinematografica e letteraria); e del resto, da Ingegnere la Sig.ra Fresca sa anche che in chimica, in fisica (e per traslato: anche in tutte le relazioni in genere, umane e culturali) nessun fenomeno avviene se non in presenza di un “disequilibrio”; a me piace traslare questo concetto di disequilibrio anche alle divergenti opinioni, e personalmente (ma questo vale nei limiti della mia persona: ciascuno si regola poi secondo i suoi gusti/inclinazioni) credo che il lievito della crescita (relazionale, culturale etc) stia proprio nella differenza
Ma lungi dal voler dare lezioni (quanto sopra non è che l’espressione libera del mio pensiero e – ripeto – si applica entro i limiti della mia persona), mi attengo ad alcuni fatti, perché parlare sui fatti è senza dubbio più importante, e minor fonte di fraintendimenti e di equivoci che “gettarla sulle opinioni”
Personalmente, non conoscevo la Sig.ra Fresca del cui lavoro ho appreso tramite Doriana; per cui, sarei ben lieta di saperne di più, e grata se lei mi volesse inviare, qui stesso, qualche link ai suoi articoli che trattano il problema della ‘ndrangheta
Sicuramente, infatti, le ho fatto torto io nel presumere che lei abbia criticato l’intento di Saviano nello scrivere un libro sulla ‘ndrangheta dal punto di vista di chi non abbia nel suo CV una azione di denuncia altrettanto forte, circostanziata e dettagliata
Probabilmente, anche in questo caso la Calabria è stata vittima dell’oblio in cui sempre i media la gettano, Cenerentola tra le cenerentole d’Italia, e quindi i media non hanno dato adeguata risonanza a tutto questo.
Per questo, mi rivolgo direttamente alla Sig.ra Fresca pregandola di voler postare qui – a vantaggio mio e di tutti coloro che hanno postato prima di me – i suoi articoli; sarò lieta di essere smentita nella mia iniziale impressione, ove essa si rivelasse errata o malaccorta
Personalmente credo – ma questo è indiscutibilmente un mio difetto, che mi è costato decine di accese discussioni con gli oltranzisti difensori dell’indifendibile – che la Calabria la si difenderebbe assai più efficacemente se si parlasse chiaro e forte di quello che REALMENTE vediamo ogni giorno; se si mettessero nomi e cognomi, se si elencassero fatti, circostanze, etc, invece di rifugiarsi in una parziale attenzione a “quel che c’è di buono” (quel poco che ancora non è stato distrutto o non è scappato da qui) che sa di difesa e di “mettere la testa sotto la sabbia” oltre che di sognante fuga verso una Arcadia magica che, forse, non esisteva neppure ai tempi del Grand Tour di Lear, Swinburne, Goethe etc
Credo anche che questo sia stato – in ogni senso – un dibattito molto interessante, e che non sia neppure necessario differirlo o riprogrammarlo “in una occasione pubblica”; siamo GIA’ in uno spazio pubblico (chiunque voglia infatti può leggere tutto quello che abbiamo scritto, e intervenire liberamente).
Mi corre infine l’obbligo, dato che il tono piuttosto piccato della Sig.ra Fresca mi fa sentire personalmente chiamata in causa, di risponderle direttamente su un paio di punti.
Duole leggere come Lei si senta quasi infastidita nel rispondere a persone (La cito testualmente) “che non hanno alcuna intenzione di apprendere la lingua italiana”. Per quel che mi riguarda, Le assicuro che (forse suona presunzione da parte mia) a parte, come Le sarà facile constatare nei miei post, dimenticarmi di chiudere le parentesi quando scrivo “di getto” visto che fra l’altro ho il vizio di scrivere molte frasi subordinate anche piuttosto lunghe, la lingua italiana l’ho appresa bene, e la amo moltissimo; al punto da arrivare all’integralismo di cancellare conoscenti e amici dai miei contatti Facebook per l’uso dei “xkè” o di orrendi neologismi da questurini quali “attenzionare”, o “redarre” anziché “redigere”, etc
Quanto all’impegno contro la ‘ndrangheta, ammetto con candore ed onestà intellettuale che io gli “attributi” di Saviano che ha fatto nomi e cognomi non li ho; quindi non posso che inchinarmi al suo coraggio e alla sua grandezza d’animo, e alla sua generosità nel combattere una battaglia che non è solo sua, ma di tutti.
I modi in cui io combatto questa battaglia (piccoli e limitati) consistono nel fare il mio lavoro di libero professionista senza accettare compromessi di alcun genere (infatti, il mio CV è, quanto a lavori pubblici, alquanto anoressico); nell’evitare scientificamente (anche se è una corsa ad ostacoli difficilissima) esercizi commerciali e luoghi di divertimento di cui chiunque viva in realtà piccole come le nostre sa vita morte e miracoli; ma soprattutto, nel NON sposare la “antimafia locale” dietro la quale spesso si nascondono – con machiavellismo indecente – situazioni oscure, personalismi, e i carrierismi che – come Doriana giustamente ha detto – spesso portano persone anche in totale buona fede a farsi capaci, pur di farsi ascoltare, di dire qualunque cosa.
La ringrazio comunque caramente dell’occasione che il suo scritto ci ha fin qui offerto per intavolare una discussione che spero prosegua ed abbia frutti fecondi, se vorrà mettere sul tavolo, come le ho chiesto poc’anzi, ulteriori argomenti.
[…] Continua la discussione iniziata qui […]
Due settimane sono sufficienti per smorzare i toni e riprendere il discorso da dove l’avete lasciato? Lo spero. E provo a dire la mia. Da torinese di nascita e formazione, romana di residenza e calabrese di adozione. Italiana per scelta, insomma. Nonché da giornalista e da scrittrice, forse. Ma non necessariamente.
Allora. Neppure io conosco Giulia. Personalmente, intendo. Ho letto alcune pagine del suo sognatore (di cui ho seguito nascita e crescita grazie ad una cara amica in comune, Gio Baglione). Mi è capitato di leggere alcuni suoi articoli. Ricordo, poi, i suoi avvistamenti di ufo nel cosentino: avevano avuto larga eco, ribattuti dall’Ansa, se non erro.
Ma non mi sembra che l’argomento in discussione riguardi epistolari algoritmici o luci che squarciano il cielo. E dunque. Giulia ha ragione quando scrive che “la vera ‘ndrangheta è culturale”.
Questo è l’unico, vero problema di cui dovremmo parlare tutti.
Io per prima, sabauda arrivata in questa punta di stivale strapiena di stereotipi (le donne che mi erano state raccontate, mia cara Rosy, non avevano i baffi e non vestivano di nero, ma servivano comunque i latitanti con pizzini). Io che ho scoperto, sotto la scorcia dura delle Calabrie (perché le Calabrie sono tante, e troppo spesso gli stessi calabresi non le conoscono tutte, e ne disprezzano o disconoscono alcune), un magma vivo e stupendo, di cui mi sono innamorata, fino a raccontare l’immenso che si respira qui, anche accanto ai cassettoni dell’immondizia.
Ma dovrebbero parlarne anche alcuni vecchi e neo meridionalisti (come scrive Maurizio, ad esempio) che impugnano l’ultima fatica di Pino Aprile e al grido borbonico del “fuori tutti, la Calabria ai calabresi, il meridione ai meridionali” si scagliano contro chiunque provi ad azzardare qualsiasi sillaba non consentita dal protocollo.
La vera ‘ndrangheta è culturale. E non si chiama ‘ndrangheta. Non usa le lupare.
Si chiama silenzio. Imposto, cercato o richiesto. Non è omertà: l’omertà è paura. Il silenzio, invece, è cecità assoluta. Incapacità di chiamare le cose con il proprio nome. Scelta consapevole di continuare a reiterare gli stessi errori di comodo che hanno permesso di sopravvivere finora. Senza pensare che un numero sempre maggiore di calabresi non si accontenta più di sopravvivere: vuole vivere.
Prima di concludere avrei due domande.
La prima: perché nessuno ha trovato strano che una delle maggiori operazioni contro la ‘ndrangheta porti la firma di una non calabrese come Ilda Boccassini?
La seconda: perché sul modo di scrivere di ‘ndrangheta di uno scrittore calabresissimo come Criaco c’è stato un silenzio assordante?
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