“Il femminismo si è fermato ad Eboli”? Note a margine dei fatti di Melito

<<Alla fine è toccato ai magistrati della procura della Repubblica e del Tribunale dei minori spiegare alla Regione a guida Pd che potrebbe essere inopportuno organizzare una manifestazione a sostegno di una ragazzina abusata, a quasi due mesi dagli arresti e proprio nel momento in cui i riflettori si sono spenti e la minore sta lentamente tentando di ricostruire la propria normalità. Dalle toghe è arrivata un’indicazione chiara: la priorità per tutti deve esser la tutela della sedicenne, che non può e non deve essere sovraesposta più di quanto non sia stato fatto. Allo stesso modo, non si deve neanche rischiare che un eventuale inquinamento del quadro probatorio pregiudichi l’inchiesta in corso.>> Alessia Candito

Con un comunicato che ha enormemente sorpreso chi non ha by Couponz” target=”a652c_1476371852_suddegenerewordpresscom_221369″> partecipato alla riunione organizzativa, by Couponz” href=”#8157310″> l’amministrazione regionale opta per lo spostamento a Reggio Calabria della manifestazione che aveva indetto e programmato a Melito il by Advertise” target=”a652c_1476373367_suddegenerewordpresscom_228008″> 21 ottobre prossimo, per “dire no alla violenza di genere”. L’ennesimo giallo di casa nostra, che si traduce in un bell’impiccio per il presidente Oliverio ed i suoi, i quali dopo essersi assicurati la presenza di Boldrini, Bindi e tanti altri per il 21, vedono scivolare paurosamente la loro credibilità in basso, rischiando di diventare oggetto di scherno. Se non fosse che da ridere, qui, non c’è proprio niente.

< by Couponz” target=”a652c_1476372354_suddegenerewordpresscom_221369″> Le donne di Mondo Rosa esprimono il proprio disappunto sul cambio di sede della manifestazione del 21 ottobre, per cui rimandano alla riflessione collettiva la by Couponz” target=”a652c_1476372353_suddegenerewordpresscom_228008″> loro adesione ad essa. Sempre restando ferme nel principio dell’autodeterminazione delle donne, trovano una manifestazione a Reggio priva di valenza simbolica e prendono tempo per decidere collettivamente Mondo Rosa>> Il centro Lanzino, invece, esprime < che attendiamo di conoscere, che hanno necessitato la cancellazione di un appuntamento importante proprio perché voluto in quel territorio.>>, confermando la propria by Couponz” href=”#32025920″> partecipazione alla manifestazione di Reggio e la presenza a Melito per avviare la formazione in vista dell’apertura di uno sportello contro la violenza alle donne. 

Ben poco senso avrebbe potuto avere una parata istituzionale a scoppio ritardato (con tutta la comprensione e affetto nei confronti delle amiche che avevano scelto di esserci), figurarsi quanto senso potrebbe averne una che non sia a Melito di Porto Salvo, dove un  branco di stupratori ha violentato per anni una ragazzina, nell’indifferenza o nel silenzio complice di chi sapeva e non ha fatto nulla, e dove a questo mare di orrore by Advertise” href=”#30323810″> ha fatto seguito il circolo mediatico e politico, con  pantomime annesse. Ma anche dove vivono donne e uomini che hanno bisogno della presenza dello Stato e del supporto della restante collettività onestà.

Se in questa storia drammatica, infatti,  esiste una sola vera vittima, se i diretti responsabili sono gli stupratori e – non avendo letto le carte degli inquirenti -posso al momento solo immaginare e by Advertise” href=”#54662269″> fare illazioni riguardo a responsabilità gravi di terzi, non ritengo affatto che “ siamo tutti responsabili”. Non sono infatti responsabili quelle donne e quegli uomini che quotidianamente contrastano, nella nostra terra, sessismo e cultura mafiosa. Non lo sono quelle femministe che da tempi immemorabili sono a fianco dei centri antiviolenza, quelle che pure vengono derise emarginate e che si pensa di rimettere al proprio posto chiamandole sprezzantemente “signora”o marchiandole come donne “problematiche”.  Non credo affatto che siamo tutti reponsabili, ma so che molte di noi vorremmo poter fare  di più e che molte, nel proprio piccolo,  proveranno a rianimare questa terra bagnata da due mari. Terra che nei pensieri felici è capace di farci sentire al sicuro e cullate da echi ancestrali, ma che viceversa può diventare all’improvviso quel “buco nero che inghiotte all’infinito”*, facendoci vivere in <»**.

Rispetto a questa  vicenda ci sono state numerose prese di parola, sia da parte di cittadini che non vedevano l’ora di poter esprimere la propria opinione a vanvera, sia  di soggetti delle istituzioni e capi religiosi. Molte prese di parola tese ad arroccare, in improbabili difese, una comunità ed un territorio dove oggettivamente la ‘ndrangheta è ben radicata e dove escludere l’omertà di stampo mafioso diventa una operazione pericolosa.

Inaccettabili e foriere di pericolosi fraintendimenti, ad esempio, le parole del  vescovo Morosini, secondo cui lo stupro reiterato della ragazzina sarebbe da ricondurre al modo con cui questi ragazzi vengono educati alla sessualità, vista come gioco e divertimento. Posto che rimane un mistero l’accostamento della vicenda di Melito al gioco e al divertimento (si è trattato infatti di una storia di violenza reiterata ai danni di una tredicenne), è vero invece che il sesso è leggerezza, scoperta felice di sé; è proprio questo il gioco e divertimento, caro vescovo. Smette di esserlo e diventa pena e supplizio nel momento in cui non tutti sono consenzienti o riescono a distinguere il bene dal male; accade davanti ad abusi perpetrati per esempio ai danni di minori manipolati e abusati da adulti. Quando insomma il NO cessa di essere rispettato. Smette di essere bello e gioioso se è costrizione, e si chiama stupro. Sono tuttavia d’accordo che alla sessualità si debba guardare, qualora si voglia fare un discorso pedagogico, ma è a quella maschile che bisognerebbe farlo con una certa preoccupazione, nella consapevolezza che tutto parta dalla questione maschile ancora incistata – quando si parla di branco – ad una cultura (dello stupro) della violenza.

Far riferimento ad un presunto fenomeno sommerso di “prostituzione”, poi, rispetto a fatti del genere, è un equivalente ancora più osceno del “se l’è cercata” che è sinonimo di ragazzina “movimentata”. Con ogni evidenza non è passato il tempo in cui è necessario ribadire un concetto elementare: nessuna se la cerca ed è il carnefice da biasimare.

Raccontare by Advertise” href=”#54671848″> e cercare di recuperare spiegazioni dal fondo del barile può essere un’operazione illuminante, purché le parole vengano utilizzate con saggezza, nel rispetto di chi è vittima, perché la memoria possa guidare le  azioni future in direzione opposta di quelle nefaste. E invece nella storia della ragazzina di Melito , le by Advertise” href=”#32423695″> poche informazioni di cui siamo al corrente, ci raccontano con amarezza una storia  già vissuta e raccontata non troppo tempo fa da un’altra ragazza di nome Annamaria: la storia di un branco di maschi, figli della più becera ed arretrata cultura patriarcale, che compie una violenza devastante ai danni di una poco più che bambina, pensando (e forse sapendo già) di poter contare sul silenzio e sull’impunità di una buona parte delle comunità. Silenzio e omertà le cui ragioni –che condanniamo sempre e comunque con fermezza- possono nascere sia da una paura concreta di ritorsioni mafiose, ma anche da quel condizionamento culturale teso a preservare e replicare la misoginia feroce by Advertise” target=”a652c_1476375328_suddegenerewordpresscom_221369″> di cuila ‘ndrangheta si è sempre nutrita e che, da millenni, riduce le donne a minus haben, a pezzi di corpo e a proprietà da usare e cedere a piacimento.

“Il femminismo si è fermato ad Eboli” è stato detto da qualcuna settimane fa, salvo specificare subito che non ci si riferiva all’assenza delle femministe da Eboli in giù ma presumibilmente all’assenza di una cultura femminista diffusa alla più vasta comunità. Questa frase, dopo avermi fatto molto arrabbiare, in fondo mi ha fatto sorridere con amarezza: da una parte mi è parsa emblematica dello stato delle relazioni tra donne che si dicono femministe in Italia (dove caos divisioni e anche violenza regnano sovrane), dall’ altra mi ha ricordato che- da quando la nostra memoria storica non mi difetta- il patto tra le elettrici e le amministrazioni nella nostra regione, non è mai stato da queste ultime rispettato. Relativamente a questa vicenda, ne ha già fatto riferimento in maniera sintetica e chiara, verso fine settembre, collettiva AutonoMIA di RC.

Tra by Advertise” href=”#18754875″> le varie cose, mi chiedo: è al corrente il presidente Oliverio che dal gennaio 2016 i CAV attendono  la convocazione ad un tavolo in cui si sarebbero dovute finalmente decidere le linee guida dei CAV? Perché la ministra Boschi, venuta in Calabria per una riunione convocata dal prefetto di RC su ordine e sicurezza, non ha scelto di incontrare le donne dei CAV che fin da subito si sono offerte e proposte di aiutare la ragazzina stuprata dal branco, richiedendo a gran voce la sua presenza a Melito assieme a loro? A prezzo dell’ennesima mancanza di garbo e riconoscimento, non si può di certo considerare la presenza della ministra a Reggio Calabria come una “vittoria del femminismo”. Forse, in maniera più misurata, può essere interpretata come un espletamento delle sue ampie funzioni istituzionali, tanto infatti da non aver previsto un confronto dialettico con le associazioni che la invocavano a gran voce a Melito.

Questo ennesimo ed efferato stupro del branco, sarebbe ipoteticamente potuto capitare altrove, in Italia? Suppongo proprio di sì, tuttavia tenendo fermo il “qui ed ora”  inviterei donne e uomini calabresi a rimettere in discussione se stessi, a mettere in discussione il nostro territorio, perché non diventi solo quell’oggetto oscuro di rimozione che mette addosso tanta, tanta tristezza. 

* by Advertise” href=”#79118660″>Denise Celentano, in contro versa, ed sabbiarossa

** Alessandra Pigliaru, ne il manifesto del 15/9/2016 pag. 6

(transl: Keep calm and neither the dogs)

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