Non per “gentile concessione”.

Un editoriale scritto da me e pubblicato oggi  su zeroviolenzadonne , grazie sempre a tutte le donne che sanno fare rete.

“NON PER “GENTILE CONCESSIONE”

E’ del 20 ottobre scorso il sintetico comunicato della Ministra per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, riguardante il varo del Piano nazionale antiviolenza (fonte). Secondo quanto si legge, la strategia di contrasto alla violenza sulle donne viene finalmente delineata su base nazionale. I fondi destinati a sostenere politiche ed iniziative, coordinate in ambito sociale, ammontano a 18 milioni di euro. La Carfagna aggiunge: “…L’Italia vanta servizi di assistenza e tutela per le donne vittime di violenza molto avanzati e moderni che, però, spesso, hanno accusato in passato difficoltà dovute all’assenza di una strategia complessiva…”.
Le difficoltà alle quali fa riferimento la Ministra però non riguardano il “passato” dei centri antiviolenza ma rappresentano un presente drammatico. Dal nord al sud dell’Italia, infatti, molti presidi di contrasto stanno attraversando una fase delicatissima della propria esistenza, dovuta alle grosse difficoltà economiche, oggi più che mai fisiologiche dei servizi alle donne e alla loro salute. Si paventa la chiusura di molti centri in tutto il territorio nazionale, con il rischio di vanificare anni di esperienza e professionalità e soprattutto di lasciare sempre più sole le donne in difficoltà. Emblematica, in questo senso, è la storia del Centro contro la violenza alle Donne “Roberta Lanzino” di Cosenza, che fa parte di D.i.Re contro la violenza, l’associazione nazionale nata nel 2008 che raccoglie 58 Centri antiviolenza.

Il Centro Lanzino, nato nel 1988 in risposta ad un brutale assassinio che non ha ancora una verità giudiziaria, costituisce una realtà unica nel suo genere in Calabria. La sua storia ci da chiara l’idea di come i presidi di contrasto siano spazi costruiti grazie alla lotta, inesausta, delle donne e non nati o in vita per “gentile concessione” di istituzioni o amministrazioni locali.

Quando ancora di violenza di genere ben poco si parlava, soprattutto in Calabria, le donne del Centro decisero di costituirsi come Associazione e di impiegare il proprio tempo e le proprie risorse al fine di poter mettere a servizio delle donne calabresi un supporto adeguato ed un alto livello di professionalità. Nel corso degli anni il raggiungimento di protocolli d’intesa è stato possibile solamente grazie alla costante ed incisiva azione politica e culturale che le donne del Centro sono riuscite a svolgere nell’ambito del territorio regionale, cercando di tessere rapporti di fiducia e collaborazione con un’amministrazione locale e regionale che da sempre considera le questioni delle donne residuali rispetto ai processi di cambiamento complessivi della società calabrese.

Lo scorso giugno la Casa Rifugio del Centro Lanzino ha dovuto chiudere per mancanza di fondi e la notizia ha suscitato in molte di noi forti reazioni emotive, a dimostrazione che il Centro, e la sua Casa Rifugio, è diventato negli anni, anche per le donne calabresi che non hanno mai avuto necessità di rivolgersi ad esso, un punto di riferimento psicologico ed esistenziale importante. Alla prima reazione di turbamento e prostrazione è seguita pero’, subito, una reazione propositiva e costruttiva ed abbiamo dato il via alla costituzione di una rete di donne calabresi.

Ci siamo ritrovate per la prima volta assieme il 9 di ottobre a Cosenza, donne provenienti dalle varie province della nostra regione, diverse per età, esperienze di vita e professionali, pratica politica, ma consapevoli del fatto che stare a fianco delle donne del Centro Lanzino significa stare a fianco di tutte le donne calabresi. A definire “storico” quanto sta accadendo nella nostra regione non si rischia affatto di esagerare, mai prima d’ora un evento del genere era avvenuto.

La nostra azione inizia con un invio massivo (qui), al quale partecipano anche numerose donne e uomini che da diverse parti d’Italia ci sostengono, di mail e fax ad Istituzioni ed autorità competenti, nelle quali chiediamo l’applicazione della legge regionale 21 agosto 2007, n. 20 (Disposizioni per la promozione ed il sostegno dei centri di antiviolenza e delle case di accoglienza per donne in difficoltà); la mancata pubblicazione del relativo bando annuale- il limite è fissato nella legge al 30 settembre 2010- ne impedisce infatti l’applicazione e costituisce una grave omissione istituzionale. Contestualmente chiediamo anche che venga costituito e convocato un tavolo interistituzionale (Comuni, Province, Regione) di confronto e dibattito con le Donne Calabresi in Rete.

Alla nostra mobilitazione seguono due richieste di interrogazioni regionali, la n. 50 del 14/10/2010 di Ferdinando Aiello (qui) e la n. 54 del 20/10/2010 di Giovanni Nucera (qui), in itinere; ed una risposta della Presidente Commissione Regionale Pari Opportunità (qui), Giovanna Cusumano, per nulla soddisfacente nei contenuti e nella forma, alla quale abbiamo risposto con una lettera aperta (qui). Nella seconda assemblea della Rete, del 30 ottobre scorso, sono state prese importanti decisioni riguardanti la organizzazione interna della rete ed è stata prefigurata la richiesta di un’audizione regionale in merito al contrato della violenza di genere e al suo riconoscimento, da parte delle Istituzioni, come lotta e non come fatto puramente formale e di immagine.

Il comune sentire, delle Donne calabresi in Rete, è quello di un disatteso obbligo a rappresentare le nostre esigenze di cittadinanza da parte delle Istituzioni, per cui se la nostra azione parte dalla difesa del Centro, come presidio di donne, intende andare oltre. Riteniamo che tale emergenza sociale e culturale sia completamente trascurata dalle istituzioni locali e nazionali:

Alle ultime elezioni amministrative regionali il numero delle consigliere elette è stato zero. Meno di una donna su tre, in Calabria, risulta occupata pur avendo un livello di istruzione elevato, ed un’alta percentuale di donne rinuncia prematuramente all’idea di trovare un lavoro. Le piu’ giovani migrano per non fare ritorno nella nostra regione. Facciamo sempre meno figli, meno delle donne che vivono al nord.

Siamo prive di ambiti sociali nei quali circolare liberamente come individui, prive della libertà di scegliere una professione e soddisfare desideri. Rivendichiamo percio’ il nostro diritto di cittadinanza, una cittadinanza da vivere e sperimentare, nel quotidiano e fuori dalle mura domestiche.

Maria Minicuci nel 1989, in Qui e altrove, scriveva: “…E’ una fase intermedia che vede la fine di un mondo e l’inizio di un altro. Un nuovo femminile è alle soglie…” . Non sono certa di quanto questa valutazione possa essere attuale oggi rispetto alla vita delle donne calabresi, so per certo pero’ che le Donne Calabresi in Rete quella “soglia” la vogliono oltrepassare, anche a costo di buttare giu’, gentilmente, la porta.

 

2 commenti

  1. solo grazie ad antonella veltri sono venuta a conoscenza della vostra realtà e subito vi voglio dire che sono molto contenta;mi piace il vostro linguaggio e condivido i vostri obiettivi.Ho capito che siete di cz.Mi piacerebbe conoscervi

  2. ciao rita, mi/ci farà piacere conoscerti. “sud de-genere” è solamente il nome del mio blog, pero’ con altre compagne ci stiamo “attrezzando” per costituire un’associazione qui a cz , proprio oggi pomeriggio ci incontriamo di nuovo per parlarne (facciamo parte tutte della rete donne calabresi). quando vuoi noi siamo disponibili, grazie e a presto
    doriana

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